Lo scopo dell’Associazione è quello di favorire lo sviluppo di una rete di competenze e conoscenze tra giovani ingegneri nel territorio cuneese. Il confronto di esperienze diverse, la possibilità di attingere in maniera proficua a competenze anche molto diverse è di sicura utilità in qualunque ambito professionale. Nell’era digitale la qualità delle informazioni (applicabilità, affidabilità, impatto) gioca un ruolo centrale: un confronto costruttivo tra professionisti è utile ad incrementare la qualità delle conoscenze.

L’Ingegnere è colui che pensa l’opera e il prodotto che poi è realizzato da altri: in alcuni settori chi realizza risulta socialmente più autorizzato del professionista a individuare le scelte progettuali, nonostante le responsabilità di legge.


Bisogna essere specializzati, che non vuol dire fare una cosa sola, bensì fare bene e conoscere a fondo ciò che si svolge con una cultura comune di base.
La prima cosa che ci si dovrebbe chiedere è: ma noi Ingegneri, siamo consapevoli del valore del nostro lavoro?
E’ da ritenersi inutile indagare altri aspetti della questione senza aver messo in chiaro questo punto. Questo aspetto è legato al significato di due parole molto spesso utilizzate, erroneamente, come sinonimi. Valore e Prezzo.
Al fine di determinare il secondo è necessario essere ben consci del primo.
Il riconoscimento del valore passa per consapevolezza e conoscenza. Consapevolezza delle responsabilità del nostro lavoro e conoscenza del come svolgerlo nella maniera migliore possibile. Consci di questi aspetti, insieme alla responsabilità legali, economiche e sociali, se ne determina il corrispettivo economico.
L’attuale assenza di ogni tipologia di controllo sulle prestazioni e sul corrispettivo associato alle stesse, in particolar modo nel settore privato, ma non solo, è stato un catalizzatore che insieme alla crisi economica ha portato allo stato attuale delle cose.
Se in passato la presenza di una forma di regolamentazione limitava la presenza di corrispettivi eccessivamente differenti a parità d’incarico, al giorno d’oggi, consapevolezza e conoscenza rivestono un ruolo ancora più importante. Ed è all’interno di tali vizi che possono maturare comportamenti che non solo risultano in contrasto con il codice deontologico che come Ingegneri abbiamo l’obbligo di rispettare, bensì contribuiscono a ledere l’intera categoria in una corsa al ribasso generalizzata che, inutile negarlo, si riflette in una minore qualità della progettazione, cui consegue come minimo un maggiore dispendio di risorse, se non un minore grado di sicurezza delle opere realizzate.
Il passo seguente di questa spirale è che il committente è portato ad associare ad un prezzo basso anche un basso valore. Non è raro vedere ridotta l’opera di un ingegnere ad un incombenza necessaria, priva di un valore intrinseco ed è comprensibile come in un simile contesto il parametro discriminante non possa che essere il minor prezzo. Questo, però, a discapito di tutti, progettisti e committenti, oltre che della sicurezza generale e pubblica.
Ma quindi, all’interno di un simile contesto cosa si può fare?
Non fare nulla, è mantenere uno stato di privilegio? E’ mantenere gli interessi di una “casta”?
Assolutamente no, perché provare a garantire delle prestazioni professionali di valore, che ovviamente devono avere un corrispettivo adeguato per essere sostenibili, fa parte della tutela del pubblico interesse di garanzia di sicurezza.
Come prima cosa sarebbe necessaria una forte campagna volta a sensibilizzare la società sul valore del lavoro dell’ingegnere, attraverso incontri sul territorio, magari insieme ad altre tipologie di professionalità, attraverso l’apertura degli studi, dando parola ai professionisti, coordinando un approccio diverso e più “umano” all’ingegnere libero professionista.
Purtroppo negli ultimi mesi, prima in occasione dei sismi avvenuti in centro Italia, e più recentemente con il collasso di alcuni cavalcavia, l’opinione pubblica è stata fortemente spinta a puntare il dito sui tecnici. In tali casi è necessario un intervento ufficiale senza timori, essendo presenti in maniera massiccia sui media non per protagonismo, ma allo scopo di non lasciare la parola a chi non ha le competenze per farlo (sappiamo tutti che i giornali hanno fame di notizie e quindi qualcosa devono scrivere e qualcuno devono pur far parlare).
Questo serve per piantare alcuni paletti e fissare alcuni punti, volti ad evitare il distorcersi della percezione dei temi da parte della società fino a diventarne realtà provata.
Tale attività non è però da confondere con una difesa dei singoli professionisti, quanto piuttosto la ricerca di un sentire comune positivo che sia forte ed in grado anche di applicare delle sanzioni a chi non si comporta in maniera corretta.
Vista la difficile e sicuramente non imminente reintroduzione delle tariffe, sicuramente è necessaria un incisiva attività di formazione ed informazione professionale al fine di creare una cultura comune che renda più agevole arrivare tutti alla medesima conclusione con un intorno di approssimazione ristretto.
E bisogna sottolineare il termine professionale al posto del termine tecnico: professionale inteso come volto alla sensibilizzazione ed al rafforzamento di quelle caratteristiche di consapevolezza e conoscenza utili ai fini dello sviluppo di una coscienza professionale.
L’aspetto legato alla professione deve risultare caratterizzante nell’attività formativa proposta, in quanto risulta essere necessaria, richiesta e d’obbligo.
Infine, risulta ben nota la ricerca da parte del mercato dello “specialista”. Ma come specializzarsi? E come riconoscere lo “specialista”?
La soluzione che è stata studiata di recente e risulta già operante in alcune provincie (attualmente Milano e Trento) passa attraverso la certificazione (a pagamento) delle competenze professionali da parte di un comitato provinciale o interregionale. Iniziativa interessante, ma utilizzando una similitudine, la certificazione delle competenze sembra essere più un antidolorifico piuttosto che una vera e propria cura alla malattia. Il nocciolo del problema risiede nella confusa definizione delle competenze professionali di una vasta area tecnica (Ingegneri, Architetti e tecnici diplomati), con tutta la confusione, lavorativa e sociale che ne consegue in quanto non è più chiaro chi possa fare cosa e di conseguenza tutti tendono a fare tutto, in alcuni casi non bene.
Non pare corretto dopo anni di sacrifici, economici e personali per gli studi e tutte le difficoltà lavorative che caratterizzano la quotidianità dell’attività professionale, dover essere costretti (in senso richiesto dal mercato) a pagare per poter “dimostrare” la propria competenza in un determinato settore.
E poi, specializzarsi, significa ridursi a fare soltanto una cosa sola, oppure fare bene ciò che si fa in un contesto più ampio di scelta possibile a discrezione del professionista in base alle proprie inclinazioni?

Il Tesoriere A.G.I.C.
Dott. Ing. Stefano PONZALINO